Strategia e tattica

Nel libro L’invenzione del quotidiano Michel De Certeau chiarisce la distinzione tra “strategia” e “tattica”, cioè tra modelli alternativi di comportamento e di relazione con il mondo, dove la prima è adottata dai sistemi organizzati di potere e la seconda dal bricoleur che con il suo incessante e invisibile lavorìo si oppone proprio ai sistemi organizzati di potere.

La strategia, scrive De Certeau, è «un gesto cartesiano, […] un gesto della modernità scientifica, politica o militare». Il territorio della strategia è circoscritto e predeterminato, assoggettato a una logica e a un progetto, «[la strategia] postula un luogo suscettibile d’essere circoscritto come spazio proprio e di essere la base da cui gestire i rapporti con obiettivi o minacce esteriori (i clienti o i concorrenti, i nemici, la campagna intorno alla città, gli obiettivi e gli oggetti della ricerca). Come nel management, qualsiasi razionalizzazione “strategica” cerca innanzitutto di distinguere da un “ambiente” un “luogo proprio”, ovvero la sfera del potere e del volere propri».

La tattica invece si dispiega in un terreno instabile e aperto. «Definisco tattica – continua De Certeau – l’azione calcolata che determina l’assenza di un luogo proprio. […] La tattica ha come luogo solo quello dell’altro. Deve pertanto giocare sul terreno che le è imposto così come lo organizza la legge di una forza estranea. Non ha modo di mantenersi autonoma, a distanza, in una posizione ritirata di previsione e raccoglimento in sé: è movimento. […] Non ha dunque possibilità di darsi un progetto complessivo né di totalizzare l’avversario in uno spazio distinto, visibile e oggettivabile. Approfitta delle «occasioni» dalle quali dipende, senza alcuna base su cui accumulare vantaggi, espandere il proprio spazio o prevedere sortite. Non riesce a tesaurizzare i suoi guadagni. Questo non luogo le permette indubbiamente una modalità, soggetta però all’alea del tempo, per cogliere al volo le possibilità che offre un istante»1.

Per sintetizzare, il consumo è progettato seguendo delle strategie, strategie che l’uso decostruisce incessantemente con delle tattiche di silenzioso bricolage o, detto altrimenti: l’uso immagina per gli oggetti prodotti in processi ottimizzati racconti diversi. Sappiamo ormai che la radice di questi atteggiamenti antimoderni o pre-postmoderni fioriti nel cuore della modernità trionfante si trova nella filosofia di Benjamin, nel pensiero storico di Warburg (tra gli altri) e in arte si può rintracciare nel dadaismo di Tzara e compagni, nei ready-made di Duchamp, nel frenetico merzare di Schwitters che, sebbene con differenti accenti ed esiti formali diversi, si sono impegnati tra il 1914 e il 1924 nella medesima attività di decostruzione dei linguaggi e delle ideologie dominanti attraverso tattiche di bricolage e di montaggio (spesso) irriverente. Ugualmente, la generazione di artisti, designer e creativi che ha preso la parola negli ultimi vent’anni riformula, in termini diversi – e sorprendentemente simili – lo stesso ordine di problemi.

In ogni caso, è bene notare come questi aspetti non riguardino solamente il piccolo mondo delle forme dell’arte o del design: le tattiche da bricoleur hanno improntato anche tutti quei movimenti sociali e politici, di destra o di sinistra, che dagli anni Novanta – ritrovando sintonia con pratiche situazioniste – hanno cercato di destrutturare le strategie del potere economico e politico. Movimenti coagulati attorno a palinsesti programmatici mai definiti e ottenuti attraverso un lavoro di montaggio ideologico capace di attraversare tutta la storia del Novecento. Uguali considerazioni si possono fare per le forme di consumo, sempre più polverizzate e disperse; per la produzione del sapere sempre più acefala e diffusa (Wikipedia, o le piattaforme open source); per la manifattura che (anche su grande scala) si sta sempre più orientando verso una dimensione artigianale in cui domina il saper-fare (e il fai-fa-te) tipico del bricoleur; e finanche per la dimensione spirituale in cui si è imposta con forza una speciale pratica di bricolage mistico capace di attraversare le religioni tradizionali, producendo strani ibridi che si spingono ben oltre il tradizionale sincretismo.

Serena Giordano e Alessandro Dal Lago precisano questo aspetto scrivendo: «Come nota uno studioso di tecnologie dell’informazione (Longo, Homo Technologicus, 1988), il bricolage è oggi ampiamente adottato nella progettazione (per esempio, di software): Mentre la progettazione ingegneristica classica persegue un ordine che è intrinseco a un piano intenzionale e prestabilito, frutto della finalità cosciente, nel bricolage l’ordine emerge a posteriori e segue dall’interpretazione di una serie di azioni contingenti e interventi d’improvvisazione. Intenzioni, piani, azioni e risultati sono legati, ma in modo debole, come debole è il legame tra i metodi e i materiali usati […] Come nell’evoluzione biologica, l’ordine del bricolage è frutto dell’interpretazione, ma a differenza dell’evoluzione cieca, la progettazione del bricoleur è guidata da un’intenzione, da una meta sia pur vaga. Intenzione e interpretazione si alternano a produrre significati, schemi, usi. Intenzione a priori e interpretazione a posteriori portano all’emergenza continua di strutture e significati. La centralità cede il passo alla località, l’unità progettuale alla molteplicità coordinata e variabile, la fissità al dinamismo, la rigidità alla flessibilità»2

[N]

1 Michel De Certeau, L’invenzione del quotidiano. Traduzione di Mario Baccianini. Edizioni Lavoro, Roma, 2010. 72-73

5 Alessandro Dal Lago, Serena Giordani, Fuori cornice. L’arte oltre l’arte. Einaudi, Torino, 2008. pp.92-93

Lascia un commento