Nel libro Immagini Vilém Flusser riflette sull’importanza che queste hanno assunto nella nostra cultura. Il testo, scritto a metà degli anni Ottanta, registra l’invasione mediale e l’impatto delle immagini generate tecnicamente sui modelli di riproduzione sociale prefigurando gli odierni scenari. Flusser scrive all’alba della rivoluzione informatica, negli anni in cui si verifica un cambiamento di paradigma, in cui le immagini generate tecnicamente diventano sempre meno emissioni centralizzate (cinema, televisione, pubblicità, informazione pubblica) e cominciano ad assumere la dimensione reticolare, polverizzata e autogenerativa che conosciamo oggi.
Per Flusser è in atto un cambiamento antropologico: «si tratta di una rivoluzione culturale la cui ampiezza noi iniziamo solo ora a intuire». L’autore esordisce definendo la natura della trasformazione imposta dal proliferare delle immagini tecniche nella cultura moderna: «poiché l’uomo, a differenza delle altre specie viventi, vive soprattutto sulla base delle informazioni ricevute, e meno su quelle ereditate geneticamente, la struttura del portatore di informazione ha un influsso decisivo sulla nostra forma di vita».
L’uomo vive grazie alle informazioni che raccoglie e trasmette, grazie a queste informazioni riesce a modificare l’ambiente adattandolo alle sue necessità. Durante la modernità le immagini sono diventate il veicolo con il quale si trasmettono le informazioni, queste sono andate a sostituirsi ai testi lineari che per secoli sono stati il supporto per la trasmissione e la conservazione delle informazioni. «Se i testi vengono sostituiti dalle immagini, noi viviamo, conosciamo e valutiamo il mondo e noi stessi diversamente da quanto facevamo in precedenza: non più in maniera unidimensionale, lineare, processuale, storica, bensì in maniera bidimensionale, come superfici, come contesto, come scena». Per Flusser dunque la nostra cultura si costruisce attraverso le immagini, come contesti, scene e noi ci comportiamo di conseguenza, non più «drammaticamente» ma come «collocati in campi relazionali»1.
Secondo Flusser «Le immagini tecniche non rappresentano qualcosa (sebbene sembra facciano ciò), bensì proiettano qualcosa. Il significato delle immagini tecniche è qualcosa progettato dall’interno verso l’esterno (è indifferente, se sia una casa fotografata o l’immagine al computer di un aereo da costruire) ed è là fuori solo dopo che è stato progettato. Perciò le immagini tecniche sono da decifrare non a partire dal significato, ma piuttosto dal significante. Non da ciò che esse mostrano, ma dal modo in cui lo mostrano»2.
Le immagini tecniche pertanto non rappresentano ma proiettano, sono emissioni di senso, Flusser disarticola così il mito dell’oggettività, dell’aderenza dell’immagine generata tecnologicamente all’oggetto a cui si riferisce. E, sempre più, le immagini tecniche non si pongono come rappresentazioni, per quanto fedeli, della realtà ma come simulazioni entro cui la realtà si dissolve. In questo evaporare della realtà dentro le immagini generate tecnologicamente si produce anche l’effetto della scomparsa delle stesse immagini nell’efficacia della simulazione: una forma silenziosa e paradossale di iconoclastia.
[N]
1 Vilém Flusser, Immagini. Come la tecnologia ha cambiato la nostra percezione del mondo. Traduzione di Salvatore Patriarca. Fazi, Roma, 2009. p. 6
2 Ivi, p. 65