Secondo Christine Buci-Glucksmann «l’ornamento e il decorativo sono legati ma non per questo si identificano», in ogni caso entrambi «designano accessori esteriori del bello»1. L’ornamento ha a che fare con la superficie e con l’abbellimento e si potrebbe intendere (e in effetti è stato interpretato così) come un supplemento al vero contenuto della forma. L’ornamentazione attraversa ogni espressione estetica, dalle arti visive, all’architettura, alla musica e «non è dovuta a un eccesso, ma fa coesistere struttura e dettaglio, decorazione e svelamento»2. L’ornamento si pone quindi come una mediazione tra i diversi elementi che costituiscono la forma.
Per cercare di delimitare l’ambito in cui ci muoveremo possiamo cominciare definendo l’ornamento come una categoria filosofica e insieme un’attitudine estetica che, agendo per astrazione e metamorfosi, ha il compito di compiere una mediazione tra gli elementi di un discorso.
L’ornamento ha quindi la funzione di mettere in connessione le parti di un oggetto estetico: un’architettura, un brano musicale, un vaso, un testo…. Per semplificare, possiamo dire che serve per mettere in relazione, in dialogo, la forma e il suo contenuto. L’ornamento si produce quindi nel movimento e nella metamorfosi e soprattutto nella dinamica di forze che: «nella maggior parte dei casi […] funzionano per opposizione: in movimento e statiche, grazia e forza, determinazione e indeterminazione, stilizzazione e letteralità, struttura e dettaglio, convenzione e innovazione, superficie piana e rilievo, lineare e curvilineo. È in questo modo che i mosaici dell’Alhambra – per fare un esempio flagrante – combinano la piattezza estrema dovuta al supporto con arabeschi, con il gioco dei pattern ripetitivi, per lo più geometrici, e con un certo movimento»3.
L’ornamento è quindi una forza capace di trasformare, finanche trasfigurare, gli oggetti, facendo perno proprio sulla dinamica creata da queste opposizioni. Un’energia metamorfica che nel corso del Settecento – secolo in cui si gettano le basi dell’ideologia moderna – è stata avvertita come nemica del vero e del bello. Immanuel Kant nella sua Critica del giudizio – testo su cui si fonda l’estetica moderna – avverte che gli ornamenti «non appartengono intimamente, come parte costitutiva, alla rappresentazione totale dell’oggetto, ma soltanto come accessori esteriori», operando così una distinzione radicale tra contenuto e forma esteriore, tra bello come espressione del vero e bello come estensione sensibile, suo supplemento subordinato. «Riducendo l’ornamento a un supplemento, distinguendo il buon ornamento dal cattivo, Kant apre una breccia: all’alba del moderno la preziosità e la sensualità ornamentali diventano progressivamente oggetto di esclusione se non un tabù»4.
Tuttavia, la scomunica Ottocentesca della decorazione, avvertita come nemica del vero, ha radici ancora più profonde, Giuliana Altea nota che: «ne è spia il ricorrere, nella retorica antica, dell’immagine dell’ornamento come trucco o belletto; una metafora che trova riscontro nella stessa etimologia della parola «cosmetica» (kosmos in greco significa sia «ornamento» che «ordine»). Equiparato al cosmetico è anche, nella tradizione classica, il colore, bollato da Platone come falso, disonesto, ingannevole e volgare. La condanna platonica scaturita dalla svalutazione del mondo sensibile rispetto a quello intellegibile e dalla riduzione delle immagini a pura imitazione, è all’origine della contrapposizione fra disegno e colore tramandata dalla teoria artistica accademica: mentre il primo pone la rappresentazione sotto il segno della ragione teoretica il secondo la sottrae all’orizzonte di questa, consegnandola al dominio dei sensi. Il colore-cosmetico è puro ornamento: femminile e sensuale, coinvolge emotivamente fuggendo allo scrutinio razionale; per contro il disegno, intellettuale e virile, è garante della forma, definisce e costringe entro i suoi contorni la mutevole sostanza cromatica»5.
La dinamica tra forma e contenuto o, meglio, tra espressione sensibile della verità (che dovrebbe essere) contenuta nella forma e l’aspetto esteriore della forma è un nodo spesso irrisolto che attraversa la creatività occidentale sin dagli albori. L’ornamento dovrebbe essere appunto l’elemento che media e mette in relazione le diverse parti della forma.
La funzione di mediazione dell’ornamento entra in crisi nell’Ottocento, quando, agli albori del movimento moderno l’ornamento comincia a essere avvertito come superfluo, se non deleterio; è una crisi che attraverserà tutta la cultura fino alla fine del Novecento. Nell’estetica modernista, impegnata nella ricerca di una forma sempre più pura, assoluta, autosufficiente l’ornamento è stato espunto dal discorso in quanto percepito come inquinante e disfunzionale, come kitsch e ipocrita.
[N]
1 Christine Buci-Glucksmann, Filosofia dell’ornamento. Traduzione di Simone Verde. Sellerio, Palermo, 2010. p.21
2 Ivi, p.21
3 Ivi, p.22
4 Ivi, p.24
5 Giuliana Altea, Il fantasma del decorativo. Il Saggiatore, Milano, 2012. p. 22