Il filosofo Vilém Flusser, nel libro Immagini, spiega come le emissioni tecniche di immagini non cambiano solamente l’ordine con il quale si producono e trasmettono le informazioni ma mutano anche le condizioni del loro uso e dello spazio entro il quale avviene. L’uomo contemporaneo non si muove più (o lo fa ogni giorno meno) dal suo «privato verso lo spazio pubblico, dal momento che è meglio informato a casa sua e poiché, fondamentalmente, non c’è più nessuno spazio pubblico nel quale potrebbe recarsi». «La piazza del mercato, la scuola e gli spazi pubblici a essi comparabili sono spazi arcaici, non adeguati all’attuale comunicazione e verranno abbandonati»1. Le immagini tecniche – emissioni di senso – definiscono ora quel campo di relazioni che nella cultura pre-moderna definiva lo spazio pubblico. Le immagini ci avvolgono e inseguono fin nel nostro intimo e si sostituiscono allo spazio pubblico, la penetrazione proiettiva delle immagini tecniche spinge l’individuo nell’angolo del suo privato. Le immagini tecniche, però, non solo isolano chi le riceve ma isolano ancora di più chi non le riceve o rifiuta, perché costui si trova tagliato fuori, escluso dal discorso pubblico.
Il nostro ambiente è integralmente definito da apparati tecnici che funzionano automaticamente, senza la necessità del nostro intervento. In un mondo definito dalla tecnica «la libertà umana non consiste più nel trasformare il mondo secondo la propria intenzione (questo gli apparati lo fanno meglio), ma prescrivere agli apparati la forma prevista (programmarli) e fermarli dopo che hanno prodotto questa forma (controllarli)»2. Durante la modernità l’automazione è stata, ed è stata vista, come l’opportunità, e il sogno, di liberare gli uomini dalla necessità di fare, o di fare con meno sforzo, molte cose necessarie al proprio sostentamento. Gli apparati automatici in effetti fanno questo se sono governati dall’azione dell’uomo tuttavia, la velocità di produzione (e oggi, di auto-produzione), li fa sfuggire dal controllo: gli uomini non hanno più la capacità di controllare l’insieme di automatismi che governa la realtà: «l’uomo come singola essenza, come funzionario solitario e distratto, come destinatario, ha definitivamente perso il controllo sugli apparati. La competenza degli apparati, la loro velocità di computazione e la loro capacità di conservare informazioni, la loro “memoria”, sono maggiori rispetto alla competenza del cervello umano»3. Secondo Flusser, anche le immagini tecniche sono sempre di più generate in processi automatici e così sfuggono al controllo, sono ingovernabili. L’automazione nella produzione di immagini tecniche trasforma la libertà umana perché modifica la nostra capacità di generare e trasmettere informazioni.
Flusser distingue chiaramente le differenti modalità con cui si producono e trasmettono le informazioni: il discorso è il mezzo con cui si trasmette l’informazione, il dialogo il metodo con cui si produce l’informazione. La società contemporanea – in cui «i testi vengono sostituiti dalle immagini», immagini sempre di più prodotte da apparati automatici che eludono il nostro intervento e la nostra comprensione – è quindi un luogo di discorsi, le immagini tecniche sono questi discorsi, prodotti da apparati che sfuggono al controllo perché sempre meno leggibili e governabili. La domanda che pone Flusser è semplice: è possibile che le immagini tecniche, da mezzo con cui si veicolano le informazioni – un discorso che, come tale, è sempre subìto – possano farsi elementi di un dialogo – un metodo con cui si produce senso, singolarità?
Flusser pubblica il suo libro nel 1980 – nel pieno dell’esplosione mediale postmoderna e all’alba della rivoluzione digitale –, per l’autore, così come vengono utilizzati negli anni in cui scrive gli apparati (automatici) di produzione delle immagini tecniche producono solo discorsi – vuoti, corrivi, insensati – puro flusso di immagini, un discorso disperso in tante solitudini.
[N]
1 Vilém Flusser, Immagini. Come la tecnologia ha cambiato la nostra percezione del mondo. Traduzione di Salvatore Patriarca. Fazi, Roma, 2009. p. 70
2 Ivi, p. 101-102
3 Ivi, p. 105