Antidecorativo

«È nella Vienna di fine secolo – scrive Buci-Glucksmann –, città di tutte le modernità, di Klimt, di Musil e di Freud, che l’ornamento diventa un crimine. Polemizzando contro la Secessione, Adolf Loos approfondisce nei suoi articoli e nei suoi libri la distinzione occidentale tra arte minore e arte nobile, arte decorativa e arte, e istituisce il primo processo razionalista e puritano contro l’ornamento in arte e in architettura. Più precisamente, un crimine “contrario all’uomo civile”. O meglio, il segno di una “sensualità bestiale”»1. All’alba del moderno, come atto fondante di tutto il movimento c’è un violento rifiuto dell’ornamento. Un attacco che Loos muove come reazione al successo di Klimt e dalla Secessione nell’Austria di fine Ottocento e all’imperante gusto Liberty che attraversa l’Europa. Loos attacca l’ornamento perché lo interpreta come espressione di una cultura dell’apparenza, segno della decadenza della monarchia austro-ungarica; esercizio formale e superficiale che tende a nascondere e a defunzionalizzare l’oggetto ed è quindi anti-economico; perché è tipico delle culture subalterne o non pienamente formate, delle classi sociali inferiori; perché è primitivo e irrazionale (nei suoi scritti Loos evoca gli indigeni con i copricapo di piume e i bracciali di perline).

Loos è capofila di una tendenza culturale che diventerà egemonica nel corso del Novecento. Nota ancora Buci-Glucksmann: «La polemica viennese sull’ornamento è così rivelatrice, perché ci fa riflettere e ci fa vedere la nascita di due forme di modernità: da una parte una modernità razionalista di progresso che funziona su una cesura radicale con il passato e che nel concetto di avanguardia troverà la sua pratica e la sua utopia; dall’altra, una modernità più “intempestiva”, per non dire controcorrente, che si situa in una costellazione di tempi differenziali e rifiuta i grandi dualismi tra arte nobile e arte applicata, tra maschile e femminile, occidentale e non-occidentale, organico e artificio. Se la prima dominerà a lungo […] la seconda avrà una storia più sotterranea. Più ambivalente ma altrettanto permanente»2. Questa seconda modernità, differenziale e intempestiva (che si ritrova dentro agli attraversamenti, ai giochi e alle decostruzioni dadaiste) attraversa in modo carsico tutto il Novecento per riemergere nel nostro presente postmoderno.

Lo stesso approccio critico al decorativo di Loos lo si può ritrovare in un altro grande intellettuale dell’epoca, Charles Baudelaire. Anche per il poeta, tra i più influenti teorici dell’arte moderna, l’ornamento è superfluo e fasullo, un inutile, se non pernicioso, stratagemma che tende a nascondere la forma. L’ornamento per Baudelaire è tollerabile, perché essenziale, solo in un caso, quando ha a che fare con la bellezza femminile. Siamo dunque in un territorio culturale che distingue e gerarchizza con precisione le varie forme di espressione: da una parte c’è il mondo della cultura virile, razionale e volitivo, mondano e politico, orientato alla costruzione e governato dal raziocinio; dall’altro l’universo femminile, frivolo e seducente, composto di soggetti passivi che si danno come strumenti del piacere – e del dominio – maschile. L’ornamento è per Baudelaire una «manifestazione spontanea e irriflessa, propria, oltre che della donna, del selvaggio e del bambino: questi “con la loro ingenua aspirazione verso ciò che brilla, i piumaggi multicolori, le stoffe cangianti, la maestà superlativa delle forme artificiali, attestano il disgusto per il reale, e dimostrano così, inconsapevoli, l’immaterialità della propria anima”»3.

Ecco profilarsi gli elementi che nella cultura del tardo Ottocento connotano l’ornamento: espressione femminea, frivola, passiva e irriflessiva; espressione tipica delle culture primitive (colonizzate dalle potenze Europee); espressione infine delle classi subalterne, popolari e proletarie – quella montante marea rossa che spaventava a morte le classi borghesi. Secondo Jaques Soulillou sono proprio quelle alterità che nel corso del Novecento saranno la controparte della cultura moderna razionale, costruttiva e «che, contrapposte al soggetto maschile, bianco e occidentale, confermano l’identità di questo. Il contadino vestito a festa, la donna agghindata di pizzi e gioielli, il capo tribù con il suo casco di piume e le collane di perline ne sono altrettante vistose incarnazioni»4.

Il rifiuto di Loos, Baudelaire e di tanti altri pionieri del movimento moderno per l’ornamento con tutta la sua carica di alterità, sensualità e ambiguità, e la preminenza assegnata alla componente razionale e positiva troverà nelle esperienze delle avanguardie del primo Novecento il terreno su cui svilupparsi pienamente. Gli artisti, i poeti, i designer del Bauhaus tedesco, del De Stijl olandese, del Costruttivismo russo, ma anche del Futurismo e del razionalismo italiani sono tutti impegnati nella ricerca di una forma pura, essenziale, emendata dalle incrostazioni del passato, in cui non vi sia interferenza tra il contenuto degli oggetti estetici e il loro aspetto esteriore. E, poiché non deve esserci distanza tra forma e funzione, tra contenuto e contenitore viene a cadere la funzione di mediazione dell’ornamento. L’ornamento viene percepito e osteggiato come una impurità: il concetto di impurità, nel primo Novecento europeo attraversa non solo l’arte, ma anche la società e la politica. I totalitarismi che si impossessano del continente negli anni Trenta fondano, non a caso, la loro ideologia su ideali di purezza: di razza, di nazione, di classe.

Contorni degli oggetti, struttura dei quadri, sintassi delle composizioni poetiche o musicali: tutto viene ricondotto a elementi geometrici e funzionali; i colori diventano puri, piatti, senza qualità emotive; le forme si raggiungono in un processo di riduzione e sottrazione. Una tensione che attraversa tutto il movimento moderno e, passando per il celebre anatema “Less in more” di Mies Van Der Rhoe, guiderà le scelte di tutti coloro che negli anni del secondo dopoguerra si muoveranno nel solco del minimalismo. Una anestetizzazione estetica guidata da una precisa presa di posizione teorica e, si potrebbe dire, anche morale, l’astrazione è interpretata come il necessario progresso della civiltà. L’ornamento è quindi espunto dal linguaggio modernista e diventa assente o residuale in tutta l’avanguardia novecentesca orientata ideologicamente che vede nella decorazione l’espressione dell’ipocrisia borghese (sono quello che appaio e non quello che sono) e sembra vivere solo nella cultura popolare che la sensibilità moderna identifica come kitsh. 

[N]

1 Christine Buci-Glucksmann, Filosofia dell’ornamento. Traduzione di Simone Verde. Sellerio, Palermo, 2010. p. 29

2 Ivi, p. 29

3 Giuliana Altea, Il fantasma del decorativo. Il Saggiatore, Milano, 2012. p. 20

4 Ivi, p. 11

Lascia un commento