Nell’aprile del 1958 Yves Klein apre a Parigi la sua celebre mostra Le vide, il vuoto, nel suo diario annota: «Prevista per otto giorni, la mostra deve essere prolungata per un’altra settimana. Ogni giorno, più di 200 visitatori precipitano nell’interno del secolo. L’esperienza umana è di una vasta e quasi indescrivibile portata. Alcuni non possono entrare, come fossero impediti da un muro invisibile. Uno dei visitatori grida a me un giorno dalla porta, “Ci tornerò quando questo vuoto sarà pieno…” Rispondo: “quando sarà pieno, non sarà in grado d’entrare” Spesso le persone restano dentro per ore senza dire una parola, e alcuni tremano o cominciano a piangere»1.
All’interno di una cultura materialista, votata alla pienezza e alla presenza, Klein scopre “l’assenza come possibilità”. All’alba della rivoluzione informatica, in omologia con la crescente ma ancora impercepita smaterializzazione della realtà in flussi di dati, emissioni di energia, trasmissioni di informazioni l’opera dell’artista rende manifesto il prossimo orizzonte della cultura occidentale: “i visitatori precipitano nell’interno del secolo” e quest’interno è vuoto. Ed è un vuoto, diversamente dal nero abissale che che arriva dalla tradizione visiva occidentale, bianco, abbacinate, privo di profondità. Dagli anni Novanta il web rende questo vuoto luminoso – l’assenza della presenza – un’esperienza quotidiana per milioni di internauti: Google lo esibisce ogni volta che accediamo alla sua interfaccia.
All’interno della più generale ridefinizione del sapere, del pensiero e dell’estetica che il filosofo Jean-Francois Lyotard ha definito “postmoderna”, la cultura occidentale fa i conti la “crisi epistemologica” prodotta dalla crescente e sempre più veloce diffusione dei computer che cambia, dagli anni Settanta a ogni livello, il modo di fare industria, scienza, comunicazione ecc. Dall’inizio degli anni Ottanta grazie a nuove e più economiche tecnologie e a nuovi modelli sociali abbiamo assistito a un’esplosione straordinaria che ha decentralizzato la produzione, la diffusione e il consumo dei contenuti. La realtà insomma viene innondata di immagini di nuovo tipo e, apparentemente, sembra dissolversi in esse.
Nel 1981 il filosofo francese Jean Baudrillard pubblica “Simulacri e simulazioni”, un testo diventato, nel bene e nel male, uno snodo centrale del pensiero dell’epoca, Wikipedia lo riassume così: «Il Simulacro non è ciò che nasconde la verità, esso è la verità che nasconde il niente. […] Baudrillard afferma che la società attuale ha sostituto il significato della realtà con Simboli e Segni e che l’esperienza umana è una simulazione della realtà. I simulacri a cui Baudrillard fa riferimento sono i significati e il simbolismo della cultura e dei media che costruiscono la realtà percepita, la comprensione acquisita con cui le nostre vite e le nostre esistenze sono rese leggibili». Più semplicemente, la società occidentale comincia a percepire ampie zone di vuoto materiale, la realtà, per come la intende Baudrillard, è sostituita da inediti luoghi “immateriali” in cui utenti e consumatori cominciano a fare esperienze di nuovo tipo: per alcuni queste zone di vuoto rappresentano un problema, tanto filosofico quanto esperienziale (e “precipitano nell’interno del secolo”); per altri invece, queste ampie zone di vuoto rappresentano una possibilità, un nuovo spazio in cui è possibile una inedita produzione di senso.
Ne è un esempio, apparentemente banale ma (per me) pregnante, la seminale trasmissione televisiva “Mister Fantasy” in onda tra il 1981 e il 1982. Condotto da Carlo Massarini, “Mister Fantasy” propone video musicali, la scenografia dello studio è sostituita da un grande schermo bianco in cui il presentatore sembra galleggiare privo di peso (proprio come Yves Kline vent’anni prima), alle sue spalle appaiono delle proiezioni ma monitor, arredi, microfoni, tutto è scomparso, evaporato, dissolto in simulacri – Massarini salutava il pubblico dicendo “Benvenuti dell’iper-spazio”, che è un altro modo per dire nel “non-spazio”, nello spazio virtuale, nel vuoto. Negli stessi anni, ai margini della letteratura di fantascienza e del pensiero più “radicale”, prende piede il Cyberpunk2: un genere letterario e cinematografico in cui questa reimmaginazione del mondo è centrale. Come cambiano i concetti di tempo, spazio, identità, relazioni, politica ecc. nel mondo in veloce via di smaterializzazione che si profila all’orizzonte, interamente dominato dalla tecnologia, dall’informatica e dall’ipercapitalismo?
Nel 1999 il film Matrix riassume tutte queste intuizioni diventando un fenomeno planetario e questi temi entrano nella cultura popolare e nell’immaginario collettivo. Nel momento centrale del film, in cui Morpheus svela a Neo la qual’è la struttura della “realta”, torna l’immagine del vuoto così come l’aveva sperimentato “poeticamente” Yves Kline: i due personaggi galleggiano su di uno spazio bianco senza profondità e peso, senza direzione relativa e ovviamente senza verità e storia possibile, tutto ciò che si conosceva e si credeva reale si rivela una simulazione, comprese le stesse identità dei personaggi (le sorelle Wachowski ammettono di essersi ispirate, tra l’altro, alla teoria dei simulacri di Baudrillard e anzi ne fanno un riferimento esplicito in una scena del film – il filosofo era stato chiamato a collaborare alla sceneggiatura ma aveva rifiutato, il lieto fine del film non si accordava con il suo pensiero apocalittico).
Oggi, questo sfondo bianco, immateriale, privo profondità e vuoto di senso non rappresenta per noi né una possibilità, come per Kline negli anni Sessanta né un problema, come per Baudrillard negli Ottanta, ne facciamo esperienza quotidiana ogni volta che compiamo una delle nostre “esperienze d’acquisto” in uno dei milioni di siti internet sparsi nella rete. Il vuoto in cui galleggiano gli oggetti che trasciniamo nel carrello, quell’”esperienza umana di una vasta e quasi indescrivibile portata” è diventato un fatto banale. Eppure, se guardato con un po’ di attenzione quello sfondo bianco in cui galleggiano senza peso corpi e oggetti che difiniscono buona parte il nostro orizzonte materiale continua a interrogare la nostra immaginazione. Domanda: oggi quel vuoto offre “ancora” la possibilità di reimmaginazione radicale del mondo?
[N]
1 nouveaurealisme.weebly.com/yves-klein-il-vuoto.html
2 Per una storia del Cyberpunk vedi, Antonio Caronia, Domenico Gallo, Houdini e Faust. Breve storia del Cyberpunk. Baldini&Castoldi, Milano, 1997.