Warburg

La pratica del montaggio – agire su differenti materiali mettendoli in risonanza e, in questo dialogo, decostruire il mito della continuità della storia (e della razza) – ha trovato in Walter Benjamin il pensatore che per primo ha saputo coglierne il rilievo filosofico e politico. Benjamin ha scritto i suoi libri negli anni in cui l’Europa, stretta nella morsa del fascismo, ha vissuto il suo massimo delirio in fatto di continuità storica e integrità razziale. Negli stessi anni in cui Benjamin elaborava la sua filosofia della storia e pensava al montaggio (spazzolare la storia contropelo) per smontare la mitologia di potenza dei fascismi europei, altri intellettuali utilizzavano lo stesso strumento per scopi molto differenti ma del tutto simili. Il collage, la tecnica d’elezione dadaista, con la quale artisti e poeti come Duchamp, Schwitters, Tzara mescolavano forme e parole, immagini e pensieri, facendone deflagrare il senso e l’identità, aveva come bersaglio proprio quell’idea di arte che stava alla base di tutte le mitologie nazionaliste e identitarie allora in auge e che contribuiranno a fondare il fascismo degli anni Trenta).

Ma se i dadaisti utilizzavano il collage e l’assemblaggio – cioè il montaggio – per distruggere la storia dell’arte, l’identità stilistica e l’appartenenza alle scuole nazionali, negli stessi anni, tra il 1910 e il 1930, Aby Warburg lo utilizzava per inventare una nuova storia dell’arte. Ma chi era Aby Warburg? Così lo descrive Elio Grazioli: «Figlio cadetto di una grande famiglia di banchieri, Aby, com’è noto, cede ancora ragazzo il suo diritto di primogenitura sull’eredità in cambio della promessa del fratello che gli acquisterà tutti i libri che desidera vita natural durante. Verità o leggenda, l’episodio segna comunque la tonalità del suo modo di fare. Storico dell’arte antica, del Rinascimento italiano in particolare, Warburg mette dunque insieme una biblioteca organizzata per materie di studio e tra loro e al loro interno non per ordine alfabetico o cronologico ma per contiguità, per affinità di argomento, tanto che, laddove occorreva, lo stesso libro è presente in più copie in diversi scaffali. Il lettore interessato trova insomma subito accanto al libro appena letto quelli che proseguono, legano, combinano con esso. Ne viene fuori una biblioteca alquanto singolare, ermeneutica, fantasiosa, più simile a una mente, a una mappa della memoria, che a un progetto scientifico»1.

Warburg quindi, per costruire la propria biblioteca, sceglie innanzitutto di scardinare l’idea su cui si fonda ogni storia dell’arte, quella della continuità e del progresso delle forme, dell’evoluzione coerente degli stili (dal rozzo al sofisticato), dell’identità delle lingue nazionali. Nella sua biblioteca, prima di tutto, deflagra la mitologia su cui, in fondo, si basano ancora oggi i nostri manuali scolastici: al Romanico succede il Gotico, al Gotico il Rinascimento e a questo il Barocco; scuola veneziana, scuola fiorentina, scuola fiamminga… Per farlo utilizza appunto la tecnica del montaggio, componendo il proprio discorso storico montando sugli scaffali della propria imponente biblioteca2 libri, discorsi, pensieri, immagini in modo non cronologico ma piuttosto tessendo una rete, creando link e nodi tematici, inventando un metodo per “spazzolare la storia contropelo” a noi oggi estremamente familiare.

[N]

1 Elio Grazioli, La collezione come forma d’arte. Johan & Levi Editore, Milano, 2012. p. 36

2 Per la storia della biblioteca di Aby Warburg vedi il saggio di Salvatore Settis, Warburg Continuatus. Descrizione di una biblioteca. In Monica Centanni (a cura di), Warburg e il pensiero vivente. Ronzani, Vicenza, 2022.

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