Quale rapporto è possibile instaurare con le immagini che governano la nostra società? quelle immagini prodotte in processi automatici che seguono la logica dell’ottimizzazione e del profitto; immagini che ci chiedono di essere consumatori sempre meno attivi, dialoganti e immaginativi.
Nel libro “Tecnologie della sensibilità” Paolo Montani trova nella filosofia di Walter Benjamin passaggi capaci di illuminare questi problemi. Seguendo l’ermeneutica storica che il pensatore tedesco mette a punto nel suo ultimo libro “Sul concetto di storia”, in cui il filosofo decostruisce «la visione continuista sulla quale lo storicista fonda la sua sostanziale funzione di supporto all’ideologia degli oppressori, […] analoga alla fruizione raccolta dell’arte auratica […] contrapposta a un’azione costruttiva nella quale è più che lecito identificare un’analogia con il montaggio cinematografico»1.
Per Benjamin il compito dello storico materialista – come dell’artista politico – è quello di far deflagrare la continuità della storia (quello “spazzolare la storia contropelo” della tesi VII) per dare luogo a collegamenti con il passato che siano istantanei e imprevisti, «un’immagine del passato che guizza via e rischia di non essere mai più richiamabile se, grazie a un’operazione costruttiva di cui bisogna sottolineare l’analogia con il montaggio, il tempo presente, il tempo in cui quell’immagine si è presentata di colpo, non sia stato capace di “riconoscersi come inteso da essa”: come un tempo con cui l’immagine aveva già un appuntamento possibile, una relazione da rendere esplicita»2.
In Benjamin, scrive Paolo Montani, «il montaggio viene promosso ad autentica categoria filosofica: lo storico materialista, come l’artista politico sono due figure di montatori, entrambi debbono costruire ciò che è stato prelevandolo dalle rovine del passato facendolo agire nel presente»3.
La decostruzione dei palinsesti, della visone continuista della storia, e del potere, quanto il canone progressista dell’arte, l’evoluzionismo della cultura (o il discorso che ci viene quotidianamente servito, veicolato dalle immagini tecniche generate in processi automatici ottimizzati che ci vogliono consumatori passivi) avviene dunque con una attività di montaggio (e smontaggio) in cui oggetti, immagini, pensieri eterogenei si trovano immessi in reti di relazioni mai definite completamente. L’immagine si produce allora in una costante dialettica tra i materiali della storia e il tempo presente: «Non è che il passato getti la sua luce sul presente o il presente la sua luce sul passato, ma immagine è ciò in cui quel che è stato si unisce fulmineamente con l’adesso in una costellazione. In altre parole: immagine è la dialettica in posizione di arresto»4.
Attraverso il montaggio si possono produrre una prassi e un pensiero capaci di sottrarre la nostra esperienza alla delega tecnica, che può tornare a essere esperienza di immaginazione autonoma, interattiva e strumento per agire politicamente nel presente. L’esperienza, così impostata, non «aggiunge ma ristruttura» ciò che già possediamo5.
[N]
1 Paolo Montani, Tecnologie della sensibilità. Estetica e immaginazione interattiva. Cortina, Milano, 2014.p. 60
2 Ivi, p. 61
3 Ivi, p. 63
4 Walter Benjamin, I «passages» di Parigi. Edizione italiana a cura di Enrico Ganni. Einaudi, Torino 2000 e 2010. p. 517
5 Montani, Tecnologie della sensibilità, p. 74