Aby Warburg, storico dell’arte e, più in generale, della cultura, nell’ultima parte della sua vita (è morto nel 1928) ha lavorato all’atlante figurativo Mnemosyne. L’atlante era composto da pannelli neri su cui erano fissati riproduzioni fotografiche. Il montaggio delle immagini – foto di opere d’arte ma anche di reperti archeologici, o testimonianze della cultura contemporanea – aveva lo scopo di elaborare un nuovo metodo di lettura degli oggetti visivi, non più analizzati singolarmente ma immessi in allargati, elastici sistemi di segni e significati.
Così, scrive Cristina Baldacci, «Warburg anticipò tutta una serie di questioni che sarebbero germogliate soltanto nel Novecento inoltrato, ovvero: l’aver dato il primato alla comunicazione visiva; l’aver scelto un approccio antropologico per conferire valore a tutte le immagini; l’essersi avvalso, molto prima dell’avvento del web, di un metodo con cui offrire uno sguardo complessivo e anche diacronico alle cose. “Dare la parola all’immagine”, secondo il suo celebre motto, significava prima di tutto pensare per immagini. L’atlante warbughiano era dunque “una forma visiva del sapere” e anche “una forma sapiente del vedere” (Didi-Huberman) che sottointendeva precise caratteristiche, tra cui il montaggio o rimontaggio di frammenti visivi, la disposizione a griglia, al visione simultanea del singolare e del plurale, il rapporto non gerarchico tra gli elementi, l’eterogeneità, la struttura aperta, l’intertestualità, il desiderio di esaustività, l’anacronismo»
Sappiamo che Warburg non era il solo ad adottare il montaggio come metodo ermeneutico, egli, come Walter Benjamin rifiutava il “volgare naturalismo storico”, lineare e consequenziale. Negli stessi anni il pensatore tedesco componeva la sua opera filosofica maggiore, i “passages” di Parigi utilizzando un approccio analogo a quello di Warburg e nei suoi appunti annotava: «Questo lavoro deve sviluppare al massimo grado l’arte di citare senza virgolette. La sua teoria è intimamente connessa a quella del montaggio»2.
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1 Cristina Baldacci, Archivi impossibili. Un’ossessione dell’arte contemporanea. Johan & Levi, Milano, 2016.pp. 98-99
2 Walter Benjamin, I «passages» di Parigi. Edizione italiana a cura di Enrico Ganni. Einaudi, Torino 2000 e 2010. p. 512