«Per i progettisti che alla fine dell’Ottocento cominciano a mettere a punto i caratteri estetici del modernismo – semplicità, economia, purezza, funzionalità – il proliferare degli ornamenti sugli oggetti era Kitsch, serviva cioè come apparato per “suscitare” una falsa sensazione di bellezza. Nell’ottica di una filosofia rigorosa, capace di coniugare «la funzione dell’oggetto, la sua struttura e il materiale idoneo a funzione e struttura, significava rifiutare una dimensione “affettiva”, ma promuovere una nuova estetica della forma che in realtà era un etica della forma. Il “male” di quest’etica era facilmente individuato. […] Nella lenta evoluzione delle pratiche progettuali che hanno al proprio centro l’elaborazione formale dell’oggetto d’uso, in una parola il design, si assisterà a una severa lotta contro la doppia eredità dell’arte e dell’artigianato. Trovare una formula estetica capace di redimere l’oggetto da questo retaggio porterà prima a un’interrogazione sul rapporto tra utile e bello e verso la fine del XIX secolo al legame tra forma e funzione. Ed è nell’esplorazione di questa nuova coppia che il kitsch assurge a ruolo di nemico, di modello negativo. In tutti gli scritti programmatici del movimento moderno, del razionalismo progettuale, in realtà non è la parola “kitsch” ad essere attaccata, ma un’altra che assume quasi la figura di un suo doppio: “ornamento”. Nel celeberrimo motto di Mies van Der Rohe, less is more, è racchiuso tutto il conflitto di questa vicenda. L’idea di un’emancipazione formale che fosse lo specchio di un progresso sociale. L’oggetto kitsch diventa in questo modo la rappresentazione dell’ostacolo a questo progresso e l’ornamento la sua manifestazione più tangibile: volgarità, lusso, cattivo gusto»1.
Il rapporto conflittuale tra ornamento e design che si ritrova all’alba del moderno diventa un nodo teorico inestricabile nella pratica e nella teoria dei movimenti d’avanguardia di matrice razionalista in cui il rapporto forma/funzione viene assunto nel modo più radicale. Tuttavia, non si tratta semplicemente di un problema estetico, la polemica contro il kitsch (e il conseguente rifiuto dell’ornamento) era dovuta essenzialmente alla sua matrice di cultura popolare (cioè la cultura del volgo, volgare), e il razionalismo che si rivolgeva a (o sognava) un’utopica società finalmente emendata dalla volgarità della massa, una società “pura”, priva di incrostazioni, non poteva che osteggiare la brulicante e impura superficialità del kitsch. Rifiutare la dimensione “affettiva” degli oggetti e dei segni, e “promuovere una nuova estetica della forma che in realtà era un’etica della forma” significava rifiutare precisamente la dimensione popolare. Lo stigma estetico è uno stigma etico e quindi sociale.
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1 Andrea Mecacci, Il Kitsch. Il Mulino, Bologna, 2014.