Decorazione funzionalista

Leggiamo un breve estratto dal libro dell’antropologo Alfred Gell, in cui, con pochi ben assestati colpi, demolisce il mito modernista della decorazione come forza estranea o contraria alla funzione: «I disegni decorativi applicati agli artefatti legano le persone alle cose e ai progetti sociali a cui tali cose si riferiscono. Si può più facilmente convincere un bambino ad andare a letto – cosa cui spesso i bambini sono poco propensi – se il letto in questione è dotato di lenzuola e federe riccamente abbellite da astronavi, dinosauri ma anche pois, purché sufficientemente piacevoli e attraenti. La decorazione degli oggetti è una componente della tecnologia sociale, che altrove ho definito tecnologia dell’incanto. Questa tecnologia psicologica incoraggia e sostiene le motivazioni necessarie alla vita sociale. Il mondo è pieno di oggetti decorati, perché la decorazione è spesso essenziale alla funzionalità psicologica degli artefatti, la quale non può prescindere da altri loro generi di funzionalità, in particolare quella pratica o sociale. Le lenzuola per bambini non decorate risulterebbero meno funzionali nel garantire protezione e comfort durante il sonno rispetto a quelle decorate, perché i bambini sarebbero meno propensi a dormirci. Risulterebbero meno funzionali dal punto di vista sociale, perché il sonno confortevole e protetto dei bambini è il principale obiettivo dei loro genitori. In altre parole, la distinzione corrente tra “mera” decorazione e funzione è ingiustificata; la decorazione è intrinsecamente funzionale, altrimenti la sua presenza risulterebbe incomprensibile.  […] (Tuttavia), l’antropologia [in parte lo hanno fatto l’estetica e la filosofia] non ha ancora teorizzato la natura del legame che le persone hanno con le cose e che viene mediato dalle superfici decorate»1.

Sul rapporto forma-funzione, un nodo tanto stretto da escludere ogni forma di mediazione, si è fondata l’estetica modernista, nel corso del Novecento, il “less is moore” di Mies van der Rohe è risuonato come un potente anatema per chiunque volesse allentarne il nodo. Gell inquadra il problema di un punto differente (e decisamente più ampio rispetto all’eurocentrismo da cui diamo abituati a guardare) e mostra come gli esuberanti apparati decorativi che non mancano mai di poggiarsi su qualsiasi utensile l’homo sapiens abbia costruito per la sua vita nel mondo, abbiano un esplicita funzione tecnica.

La definizione “intrinsecamente funzionale” serve per collocare la decorazione sul piano che gli è proprio, che non è meramente estetico ma psicologico e antropologico. Psicologico in quanto serve al soggetto come mediazione tra sé e il mondo e antropologico perché utile alla costruzione delle parentele, dei rapporti, dei legami tra i soggetti di una comunità. Alfred Gell spiega come gli oggetti decorati presentino una peculiare qualità viscosa che mette in discussione il confine tra corpo e mondo: «L’adesione fisica e tattile è con ogni probabilità genuinamente sgradevole, ma dal punto di vista analogico o cognitivo non lo è, altrimenti non saremmo così ben disposti ad avere artefatti attaccati addosso e non reagiremmo in modo così positivo alle qualità adesive delle superfici decorate. La maggior parte delle civiltà non moderniste e non puritane apprezza il fatto che le cose siano decorate e gli assegna un ruolo specifico nella mediazione della vita sociale: la creazione di un legame tra le persone e le cose»2.

[N]

1 Alfred Gell, Arte e agency. Una teoria antropologica, pp. 101-105

2 Ivi, p. 116

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