DIY

Le immagini che circolano in rete sono di bassa qualità tecnica e formale, ci siamo abituati e non è una novità, l’immagine selvaggia, ruvida, antiestetica, raw ha ormai una storia lunga cento anni: alle pagine di levigata fattura dell’arte del primo Novecento i dadaisti hanno risposto con una offensiva improntata alla bassa risoluzione, si sono impegnati in pratiche che oggi chiamiamo raw, lo-fi, strappando, incollando e pasticciando con le immagini (i collages, gli accumuli di spazzatura, i baffi alla Gioconda).

Un modo selvaggio di attraversare il “visivo” che con il Surrealismo è divenuto pratica diffusa per travasarsi poi nella pop art (la Marilyn con colori sfasati) e nei détournement situazionisti fino ai collages punk, alla cultura rave degli anni Novanta, per arrivare alle nascenti pratiche visuali cyberpunk del web di fine Ventesimo secolo. Dopo il dadaismo, la qualità dell’immagine – la levigata fattura, il tocco da maestro, il virtuosismo – non è più un fatto essenziale. Oggi, l’utilizzo di immagini a bassa densità estetica può essere interpretato anche come una pratica di resistenza agli effetti di anestesia del reale derivanti dalla potenza mimetica delle immagini generate tecnologicamente. 

Tanni: «Inizialmente la perdita di definizione sembrava il prezzo da pagare per la circolazione dei contenuti, per la loro massima diffusione. Ma in realtà la trasmissione non è che l’inizio, la fase embrionale di un processo più ampio e ricco di conseguenze: la facilità di scambio e modifica delle immagini porta infatti con facilità all’appropriazione [Duchamp!], una condizione che determina in primis affezione e in secondo luogo reinterpretazione.

Queste dinamiche hanno portato in brevissimo tempo al sorgere di un universo visuale fatto di immagini sgranate, distorte, manipolate, espressione di una generazione che predilige la velocità e l’intensità e non teme le interferenze. […] Tuttavia sarebbe riduttivo interpretare la diffusione dell’estetica lo-fi semplicemente come effetto collaterale di un limite tecnico ancora da superare.

D’altra parte, l’immagine poco definita non è una creatura specifica dell’universo digitale, ma ha una lunga tradizione nella storia della sperimentazione visiva […]. Piuttosto, quello che appare centrale è il rifiuto della celebrazione dell’alta definizione come valore in sé, vale a dire come prova di forza – e quindi di autorità – nel combattimento quotidiano a colpi di immagini. Come scriveva Simonetta Fadda in un saggio del 1999 sulle origini della video arte e del videoattivismo, “all’immagine della realtà, con il suo nitore, verrebbe affidato il compito sociale di sostituire la realtà stessa che essa riproduce, in sé sporca e contraddittoria ovvero, in una parola, impresentabile. L’atteggiamento che difende l’alta definizione, quindi, è in realtà spinto dal desiderio di igienizzare e edulcorare il mondo. Come è successo per il cinema e per il video, quindi, anche sul web il problema dell’opposizione tra alta e basa risoluzione assume contorni politici. Il lo-fi è una scelta di liberazione che nasce dalla volontà di ignorare e contestare sia i canoni estetici della grande industria sia le barriere legali del copyright»1.

1 Valentina Tanni, Memestetica. Il settembre eterno dell’arte. Nero, Roma, 2021. pp. 36-37-38

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