Franco Vaccari è un fotografo, oltre a questo, si è dedicato a una importante attività teorica riflettendo, non tanto sulle qualità estetiche della fotografia, quanto piuttosto sugli strumenti con i quali si pratica la fotografia. La nostra società assegna all’immagine fotografica un ruolo preminente, è una pratica diffusa, democratica, quotidiana, consumiamo fotografie quando leggiamo, compriamo, ci relazioniamo con gli altri, ci divertiamo… spesso però, agiamo sulle immagini senza nemmeno accorgercene.
Scrive vaccari: «La sterminata quantità di immagini a disposizione sulle quali possiamo intervenire con operazioni analoghe al montaggio cinematografico per ottenere strutture di senso, fa sviluppare in noi attitudini nuove; fra queste c’è la consapevolezza tutta nuova dell’esistenza di un’archeologia del guardare. La nostra attenzione per i particolari più minuti ha subito una specie di ipertrofia e la possibilità di ritornare su di essi grazie all’indelebile memoria fotografica, ha dato al nostro giudizio una durezza e una impietosità finora sconosciute. Non c’è più spazio per lo sguardo ingenuo che crede di cogliere in modo diretto la realtà in un’adesione senza residui con essa. Siamo diventati professionisti del guardare; applichiamo automaticamente tecniche di comparazione che ci portano a scartare a colpo sicuro quello che era di moda appena ieri. Abituati a consumare attraverso l’immagine il nostro rapporto con tutto ciò che è altro, agiamo sull’immagine credendo di agire sulle cose».
In questo passo Vaccari mette a fuoco il nostro problematico rapporto con la “sterminata quantità di immagini a disposizione” e, se è vero che non c’è più spazio per” lo sguardo ingenuo”, è vero anche che la nostra abitudine ci porta a un certo grado di superficialità e automatismo: “agiamo sull’immagine credendo di agire sulle cose”. Tuttavia Vaccari suggerisce anche che la modalità di intervento “con operazioni analoghe al montaggio cinematografico per ottenere strutture di senso” è il modello concettuale prima che operativo per uscire dall’abitudine. Il montaggio consente nuove “strutture di senso”, a patto che sia un’operazione consapevole, deliberata, accurata.
Ciò può avvenire grazie a un pensiero che ci porta, tra l’atro, a rifiutare il ruolo di semplici utenti, cioè di utilizzatori passivi e inconsapevoli, degli apparecchi che maneggiamo per produrre e consumare immagini (siano dispositivi o software, sempre più impermeabili nelle loro logiche di funzionamento e “oscuri” nei poteri che li possiedono e governano). Diventare utilizzatori attivi e consapevoli degli apparecchi non significa trasformarsi in programmatori o dover acquisire competenze tecniche esorbitanti rispetto alle nostre necessità, ma di lasciare sempre aperta la possibilità un uso critico dei dispositivi che manipoliamo, mantenendo una “distanza” tale tra noi e l’apparecchio che ci permetta di agire su di esso come agiamo sulle immagini, per trovare, dentro agli automatismi e ai formati pre impostati, “nuove strutture di senso”. In questo Franco Vaccari è stato negli anni Settanta un pioniere, oggi può essere un esempio per quanti, nella pratica quotidiana desiderino acquisire “attitudini nuove”.
1 Franco Vaccari, Fotografia e inconscio tecnologico. p. 75