Documents, è una rivista di arte e antropologia pubblicata a Parigi tra il 1929 (7 numeri) e il 1930 (8 numeri), vi lavora il giovane Georges Bataille in veste di “segretario generale”, cioè direttore, assieme a personaggi del calibro di Carl Einstein e Michel Leris. Documents è un’esperienza innovativa e seminale costruita come un insieme di intrecci tra le forme più diverse della cultura occidentale con le culture extra-occidentali, dell’arte moderna con quella etnografica, in cui all’importante contenuto teorico, si unisce una straordinaria attività di messa in questione delle immagini. Scrive Geroges Didi-Huberman: «vedremo come in questa rivista venga intessuto con pervicacia un reticolo di figure attraverso collages e montaggi destinati non a illustrare, ma a prolungare nell’apparenza, sull’apparenza, il lavoro sconcertante dei concetti e delle parole. E, a volte, a dedurre il primo (il lavoro sui concetti) dal secondo (il procedimento figurale)»1.
Documents si serve di un apparato iconografico che non illustra ma espande il contenuto dei testi e crea sovrapposizioni, rimandi e decostruzioni, «La posta in gioco di questo “lavoro”, in un conflitto così fecondo, non è altro che un nuovo modo di pensare le forme: il processo contro i risultati, le relazioni labili contro i termini fissi, le aperture concrete contro le chiusure astratte, le insubordinazioni materiali contro le subordinazioni all’idea. Questo nuovo modo di pensare le forme è stato al cuore delle attività delle avanguardie artistiche e teoriche degli anni Venti, di cui Georges Bataille, così come Carl Einstein o Michel Leris, aveva scoperto e compreso l’incomparabile valore sovversivo»2.
Evidentemente per questi giovani l’obiettivo è non tanto parlare di arte o antropologia ma mettere in crisi e scardinare elementi cultura occidentale che si ritenevano stabili e inviolabili, per fare questo per Bataille e compagni agiscono sugli apparati iconografici esibendo immagini perturbanti altrimenti impossibili. Un tentativo di “mostrare tutto”, inteso non come desiderio di suscitare superficiali emozioni di ripulsa o attrazione ma, piuttosto, sondare i limiti dello sguardo: «per mostrare tutto, si suppone che regnino disparità, discordia e disarmonia. Eppure, disparato non significa senza rapporto, come “Documents” si sforza di mettere in pratica creando ovunque rapporti visivi e significanti, cioè, molto spesso, somiglianze irritanti, somiglianza stridenti e, per dirla senza mezzi termini, somiglianze che gridano. Bataille faceva spesso uso dell’espressione “che grida” per parlare di aspetti visivi; il suo ruolo di “segretario generale” gli permetteva di far “gridare” dappertutto parole (soggetti, testi) e immagini (oggetti, fotografie) nelle loro reciproche disposizioni, negli effetti del loro montaggio. L’atto trasgressivo non sta quindi solo nel superare i limiti, ma anche, allo stesso modo, nel rendere i limiti mobili, fuori posti, denigrati, “reincollati” e uniti in “certi punti precisi”, proprio dove non ce lo si aspetterebbe; dove, tuttavia, la relazione è diventata tanto “decisiva” da essere “irritante”»3. Ecco allora che l’uso di questi montaggi di immagini diventa un atto trasgressivo nei confronti dei codici e delle gerarchie. Per Bataille, «La trasgressione non è rifiuto, ma apertura di una mischia, un assalto critico, nel luogo stesso in cui si trova ciò che, nello scontro, viene trasgredito»4.
[N]
1 Didi-Huberman, La somiglianza informe. p. 39
2 Ivi, p. 24
3 Ivi,pp. 42-43
4 Ivi,p. 22