Nel corso del Novecento la città moderna è stata (spesso) avvertita dei suoi abitanti come una struttura rigida, una gabbia ineluttabile, un luogo interamente amministrato, normato, controllato, uno spazio da liberare e scardinare, o da cui evadere. Inevitabile quindi che proprio nella città si sia giocata la partita per trovare nuove forme di libertà e nuovi modelli espressivi1. In anni recenti il contesto pubblico – urbano e architettonico, politico e sociale – è tornato preponderante nel discorso dell’arte. Non tutto si svolge però nella cornice istituzionale dell’arte, ci sono molti linguaggi che nascono in contesti diversi, con scopi, mitologie, economie e storie differenti e che a volte assumono dal linguaggio dell’arte i propri modelli espressivi per raccontare però storie diverse.
Lo spazio urbano è il teatro dell’espressione di culture alternative e antagoniste, i muri, del resto, sono da sempre un luogo di libera e incontrollata espressione. Dalla fine degli anni Settanta le culture sub-urbane sotterranee hanno trovato nelle pratiche sinteticamente raggruppate sotto il termine “graffiti” il loro linguaggio d’elezione. Il fenomeno inizia a prendere forma alla fine degli anni Sessanta e fiorisce negli anni successivi nei grandi centri degli Usa e d’Europa, legato all’emergere delle culture giovanili e alle manifestazioni controculturali che hanno infiammato quei decenni2. Dagli anni Ottanta il writing diventa il veicolo di espressione di una nuova cultura urbana, slegata dai movimenti politici e connessa con il nascente immaginario Hip-hop. Il movimento writing è (molto spesso) chiuso in dinamiche autoriflessive centrato sulla ricerca grafica, sull’espressività della lettera e poco interessato a uscire dai contesti sociali in cui si sviluppa, i writer lavorano per far circolare immagini dentro al loro ambiente, producono un linguaggio autosufficiente e che si nutre di se stesso.
Diversamente, la street-art sviluppa una dimensione pubblica e decisamente più aperta al dialogo con gli spazi e con le persone. La street-art nasce tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta sulla scia del graffitismo da cui adotta al principio il mezzo tecnico – la bomboletta spray – e la scelta dello spazio di intervento – la strada – ma da cui si differenzia sin dagli inizi per il fatto di focalizzare l’attenzione sulla realizzazione di un’immagine e non più solo di una scritta, la tag, e per l’uso di più mezzi di supporto su cui realizzare le figure da applicare in seguito sui muri cittadini (posters, stickers, stencils diretti sul muro). La street art vive in questi anni un successo paradossale: è celebrata nei musei e venduta nelle gallerie ma quando praticata rimane illegale. I suoi protagonisti sono visti alternativamente come vandali e come grandi artisti, alcune città conservano e difendono gli interventi degli autori più celebri, altre città li cancellano.
«Intorno al 2000, tra Francia, Inghilterra, Spagna e Italia, si assiste a qualcosa di nuovo e differente per le strade; numerosi creativi (artisti, fotografi, poeti, graffitari) abbandonano l’etnocentricità del movimento del writing e, proponendo lavori su poster, stencil o vernice traducono la loro esigenza d’espressione in una tensione costante verso la comunicazione di massa e la partecipazione del pubblico al senso dei propri interventi». Fonte: Wikipedia.
Ogni artista che pratica street-art ha le proprie motivazioni personali, alcuni la praticano come forma di sovversione, di critica o come tentativo di abolire la proprietà privata, rivendicando le strade e le piazze; altri, più semplicemente, vedono le città come un posto in cui poter esporre le proprie creazioni e in cui esprimere la propria arte. La street-art offre la possibilità di avere un pubblico vastissimo, molto maggiore di quello di una tradizionale galleria d’arte. Un pubblico però indifferenziato e spesso non interessato, che percepisce queste pratiche come un’intrusione nel proprio spazio urbano.
L’artista di strada negozia la propria esistenza esattamente su questo punto: di chi è lo spazio della città? È di tutti e perciò anche mio o è lottizzato e privatizzato dai poteri economici e politici e quindi la mia azione è un esproprio, un abuso e una liberazione? Lo stesso ordine di problemi posto dai Situazionisti negli anni Sessanta.
Costretti all’anonimato per via delle loro azioni abusive gli esponenti della street art sono identificabili grazie al nome con cui hanno scelto di siglare i loro interventi, una sorta di logo attraverso cui poterli distinguere e riconoscere. Sfuggenti per eccellenza e dalla biografia incerta questi artisti manifestano la loro libertà di espressione nelle città del mondo concependo la strada come uno spazio vuoto, bisognoso di essere riempito. Certamente (come ogni forma di espressione, per altro) i confini della street-art non sono rigidi e impermeabili ma aperti verso gli altri mondi dell’espressione dell’immagine, specialmente con il sistema dell’arte-arte. La street-art esprime una serie di valori che non sono soltanto culturali o estetici, ma anche economici e, siccome l’economia è il fattore unificante di ogni attività umana che si svolge nella società regolata dal mercato, è facile immaginare che proprio su questo terreno si sviluppino sovrapposizioni con altri sistemi di segni – pubblicità, musica, arte, politica, moda…
Dal punto di vista strettamente linguistico si può notare che tutti gli interventi di street-art adottino i paradigmi espressivi comuni: prelievo e processo di immagini – ri-elaborazione, ri-semantizzazione, ri-contestualizzazione, cioè “postproduzione” di segni esistenti. La vocazione pubblica e le dinamiche di culturali messe in moto non possono che rimandare a una dimensione “relazionale”. Pratiche di cui abbiamo imparato a riconoscere l’origine: ready-made e Merzbau.
[N]
1 La città moderna è il luogo del conflitto per eccellenza, vedi David Harvey, L’esperienza Urbana. Metropoli e trasformazione sociale. Traduzione di Gabriele Ballarino. Il Saggiatore, Milano, 1998. Per una storia dei conflitti urbani vedi ancora David Harvey, Città ribelli. I movimenti urbani dalla Comune ddi Parigi a Occupy Wall Street. Il Saggiatore, Milano, 2013.
2 La letteratura sull’argomento comincia a essere considerevole. Segnalo Alessandro Riva (a cura di), Street Art Sweet Art. Dalla Cultura hip hop alla generazione pop up. Skira, Milano, 2007; Seno (a cura di), Trespass. Storia dell’arte urbana non ufficiale. Taschen, Koln, 2010; Alessandro Dal Lago e Serena Giordano, Fuori cornice. L’arte oltre l’arte. Einaudi, Torino, 2008; Marcello Faletra, Graffiti. Poetiche della rivolta. Postmediabooks, Milano, 2015.