Scrive Dieter Kliche: «La parola “Kitsch” nasce in Germania alla fine del XIX secolo e riunisce in sé significati per cui non ci sono termini ante quem»1. Il termine, evidentemente, designa un ordine di problemi, intimamente connessi con l’emergere di una nuova cultura e di nuovi modelli sociali imposti dalle innovazioni tecniche e culturali della modernità.
«Nella prima metà del Novecento – continua Kliche – il Kitsch diventa un concetto estetico, in quanto – tramite costruzioni di significato – colma gradualmente un’intenzione significante priva di forma: spazzatura, immondizia, arte brutta, arte superficiale o non-arte, prodotto del cattivo gusto (di massa), utilizzo epigonale di stili e forme, ecc. Il termine entra a far parte di un “conflitto concettuale” (Pierre Bourdieu) culturale i cui protagonisti giudicano, a partire da norme culturali e artistiche tradizionali, le prassi culturali proprie della società di massa industriale, facendo riferimento ai (legittimi) bisogni di un’esperienza e di una percezione estetica da parte dei produttori e dei consumatori del Kitsch, bisogni che però vengono considerati falsi o manipolati»2.
L’evoluzione del significato di Kitch è quindi abbastanza semplice da definire, da un giudizio di carattere estetico, formulato su modelli tradizionali o accademici, in sostanza sui modelli delle élite al potere, si passa a giudizi – negativi – di carattere sociale: se l’arte della società di massa è brutta (cioè ignorante, priva di riferimenti e valori, manipolata e manipolabile, falsa e superficiale) saranno brutti anche i suoi consumatori, cioè le persone che compongono la società di massa, queste persone saranno ignoranti, prive di riferimenti e valori, manipolate e manipolabili, false e superficiali.
«Il concetto di Kirsch è contrassegnato da due caratteristiche essenziali: da un lato esso è collegabile a tutti i settori del comportamento estetico, delle arti, della vita, anche se ci sono grosse difficoltà nel definire la sua struttura concettuale, le sue caratteristiche strutturali e persino le sue qualità stilistiche; dall’altro ha in sé il chiaro significato di un termine di valore negativo. Questa valutazione negativa, ha motivato negli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso una produzione artistica che, partendo dal cattivo gusto del passato e con l’ausilio del principio di montaggio/collage e della”decostruzione” (ironica o critico-culturale), ha dato luogo ad una nuova, avanguardistica, arte-Kitsch»3.
Il secondo passaggio della storia del concetto di Kitsch è appunto il suo riutilizzo consapevole e, in qualche misura, militante su cui ha fatto leva una generazione di creativi seguendo una più generale riconsiderazione avvenuta con gli studi culturali e una nuova emergenza delle culture marginali avvenuta con il movimento postmoderno. Nel nostro presente permane comunque questa doppia faccia del Kitsch, da una parte valutazione dispregiativa per una serie di manifestazioni estetiche, culturali e sociali, dall’altra “stile” estetico da manipolare e utilizzare in modi paradossalmente anti-kitsch.
[N]
1-2-3 Kliche, Kitsch. Riga n.41 Kitsch, a cura di Marco Belpoliti e Gianfranco Marrone. Quodlibet, Macerata, 2020. p. 47-45