Kitsch oggi

Marco Belpoliti e Gianfranco Marrone: «Il Kitsch è un’evidenza problematica. I termini e i concetti evocati per definirlo costituiscono un pacchetto teorico irregolare ma, alla fine, abbastanza coeso: arte degenerata, massificata, inautentica e ripetitiva; pseudo-arte a buon mercato; simulazione della bellezza, esaltazione del sentimentalismo per via del dilettantismo; celebrazione indiscriminata del piacere estetico a detrimento della fattura materiale dell’oggetto artistico; emergenza della volgarità e del male nelle arti; arte al servizio dei regimi totalitari e della loro propaganda; uso indiscriminato degli stilemi e degli stereotipi del passato e del canone; contraffazione e simulazione; riduzione dell’opera a souvenir turistico e a gadget; diffusione del gusto medio e massificato; cattivo gusto o totale mancanza di gusto. L’effetto che si ottiene mettendo in fila questi concetti è curiosamente duplice. Da una parte, sembra che il Kitsch abbia vinto, nel senso della cultura contemporanea, la società attuale, la nostra stessa vita quotidiana ne appaiono permeate sin nei più intimi dettagli: la volgarità, la contraffazione, il sentimentalismo, l’autoritarismo, il dilettantismo vanno per la maggiore. Dall’altra, tutto questo sa di passato, di polveroso, se si vuole di vintage. Siamo certi che oggi sia possibile continuare a parlare di degenerazione dell’arte e di cattivo gusto, di massificazione e serializzazione? Che cosa significano questi termini? Quale finzione esplicativa conservano questi concetti? Che importanza hanno questi valori? Sembra di poter dire: se tutto è Kitsch, allora nulla lo è; e se nulla vi si oppone, non è possibile delinearne una reale fisionomia. Più che in alcune proprietà degli oggetti, il Kitsch finisce per risiedere nello sguardo di chi lo osserva, perdendosi nel più totale soggettivismo, nel relativismo deteriore, muto, in cui tutto è uguale a tutto. La nozione di Kitsch, nata con l’ascesa della cultura borghese e con l’ausilio dei media di massa, sembra aver perduto molta della sua ragion d’essere»1.

Il concetto di Kitsch, nato con la rivoluzione industriale per designare un intreccio tra pratiche di produzione e consumo di massa e un insieme di “stili” estetici tanto vaghi quanto evidenti serviva per indicare la cesura traumatica tra i modelli estetici della tradizione e quelli moderni. L’esplosione contemporanea dei linguaggi e la proliferazione dei segni che sorgono da emissioni sempre meno centralizzate e controllabili e sempre più proliferanti e inafferrabili, pone, a un nuovo livello di complicazione, il problema del Kitsch. Oggi, si può elaborare il concetto di Kitsch per definire concetti ambigui come quelli gusto e bellezza, per individuare e nominare i poteri che governano le tendenze, per circoscrivere le forze all’opera e le dinamiche di opposizione ai modelli che si vorrebbero dominanti. Perché, malgrado il concetto di kitsch sia diventato quanto mai sfuggente e “sembra aver perduto molta della sua ragion d’essere”, è ancora oggi utilizzato come uno strumento di “offesa”: sempre, quando si formulano giudizi di carattere estetico o culturale, la critica passa a sentenze di carattere sociale e morale, evidenziando la necessità di designare un’idea di “bello” contro il “brutto” del kitsch, di “vero” contro “falso”, di “buono” contro “cattivo”, di “giusto” contro lo “sbagliato”.

[N]

1 Riga n.41 Kitsch, a cura di Marco Belpoliti e Gianfranco Marrone. Quodlibet, Macerata, 2020. p. 8

Lascia un commento