Nel libro La somiglianza per contatto Georges Didi-Huberman riflette sull’idea e sulla tecnica dell’impronta, la pratica cioè di ottenere un’immagine somigliante – e magari anche fedele – di un oggetto senza l’imitazione ma attraverso il contatto, il rilievo o il calco. Secondo il filosofo francese l’impronta, il rapporto diretto, «indicale», del segno con il suo referente è la prima tecnologia inventata dagli uomini per produrre immagini, la sorgente stessa da cui scaturisce l’immagine; la rappresentazione e la simbolizzazione del mondo arrivano solo più tardi.
«L’impronta – scrive Didi-Huberman – è anche l’«alba delle immagini». In un recente manuale di arte preistorica, Denis Vialou ha esaminato l’acquisizione simbolica delle forme in un ordine logico e cronologico secondo cui le «forme raccolte» precedono le «forme inventate». È come se, tra l’epoca musteriana e Lascaux – cioè il periodo che va dal 40.000 al 15.000 a.C. ca –, il prelievo e la raccolta delle forme precedesse in un certo senso la loro stessa invenzione. Come se il montaggio precedesse l’immagine, come se la mostra precedesse il dipinto, come se il globale inventasse il locale. Come se il montaggio e la mostra inventassero letteralmente la forma, e questo potere derivasse loro dal fatto che il prelievo si trasforma in forma quando diventa elemento di una struttura, di un gioco differenziale. Il ready-made, dunque, è forse antico quanto quel fiore così toccante, posato – cioè raccolto e trasportato – sulla tomba di un bambino neanderthaliano più di quarantamila anni fa, nella grotta di Ashnidar, in Iraq. Con questa ipotesi ci avviciniamo all’intuizione sviluppata da Julius von Schlosser nell’introduzione del suo celebre libro sulle Wunderkammern. Schlosser sarebbe stato senza dubbio contento di sapere che la grotta di Lescaux conteneva anche delle collezioni, e che una di esse, esemplare per il nostro discorso, riuniva conchiglie vere, conchiglie fossili e una pietra scolpita in forma di conchiglia. È facile comprendere come, in questo caso, il semplice prelievo della realtà (l’oggetto ready-made), l’impronta (qui lasciata dal tempo geologico) e la forma scolpita (l’opera d’arte) siano tre elementi indissolubili, anche se differenti, di un’unica struttura (la collezione)»1.
Per prima cosa Didi-Huberman ci dice che il prelievo e il montaggio degli oggetti precede la rappresentazione. Il prelievo di elementi del reale e la loro ricollocazione in una collezione è insomma il primo passo che l’uomo compie per la comprensione e la semantizzazione del mondo, cioè per rendere visibile l’invisibile. Raccogliere, prelevare oggetti selezionandoli dal vasto repertorio del mondo, collocarli in un luogo diverso, assegnando loro un nome diverso e una diversa funzione, cioè fare un ready-made, è quindi una pratica ancestrale. Didi-Huberman ci spiega che lo scandaloso ready-made di Duchamp, accusato di aver distrutto l’artisticità dell’arte, porta l’oggetto artistico non tanto fuori dai confini dell’arte, quanto fuori dal paradigma della storia dell’arte, per ricondurlo a una specie di passato-presente atemporale. I linguaggi contemporanei che si fondano sul prelievo, sul montaggio e sull’installazione – o, detto altrimenti, sulla collezione – di elementi del reale instaurano un dialogo di lunga durata con le forme elementari, primordiali dell’esperienza estetica, non negano l’arte ma, proiettandosi nel passato, ne dilatano i limiti e le possibilità formali.
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1 Georges Didi-Huberman, La somiglianza per contatto. Archeologia, anacronismo e modernità dell’impronta. Traduzione di Chiara Tartarini. Bollati Boringhieri, 2009.. pp. 36-37